Questa è una storia d’amore. Un amore uguale a ogni altro, eppure diverso da tutti. Nadia e Saeed s’incontrano all’università, prendono a frequentarsi e poi s’innamorano. Sono due ragazzi per cui la cosa più normale – vivere un sentimento giovane – diventa un gesto rivoluzionario. Perché abitano in un Paese lacerato dalla guerra civile, potrebbe essere il Medio Oriente o il Pakistan, non ha importanza. A essere importante è che Nadia sceglie di portare il velo – nonostante non professi alcuna religione – per evitare le molestie degli uomini, mentre Saeed è religioso e vorrebbe seguire i dettami. Sono così costretti a incontrarsi clandestinamente nel piccolo appartamento in cui lei vive da sola, ricorrendo a ogni espediente: Nadia getta un fagotto di abiti dalla finestra perché Saeed possa travestirsi da donna e passare inosservato. Il loro mondo coinciderà ben presto con quell’appartamento.
Exit West (Einaudi, traduzione di Norman Gobetti, pp. 160, 17,50 euro) di Mohsin Hamid è il grande romanzo sull’emigrazione dei nostri anni. Perché Nadia e Saeed sono costretti a partire. Il piano è quello di ricorrere a dei portali magici che trasportano le persone da un capo all’altro del pianeta, senza poter mai conoscere la destinazione. I due innamorati arrivano così prima nell’isola greca di Mykonos – orbitando nell’area del campo profughi –, e poi, grazie all’aiuto di una volontaria, attraversano un portale che li condurrà a Londra.
«Quando emigriamo, assassiniamo coloro che ci lasciamo alle spalle». È una frase che mi ossessiona da quando ho letto il libro, sottolineando moltissime pagine, leggendo alcuni brani ad alta voce a chi avevo vicino. Quando per me è arrivato il momento di tirare le somme di quest’anno assurdo e bellissimo – in cui per un attimo, uno solo, mi sono concessa l’illusione di pensare che quello per cui tanto avevo faticato si stesse concretizzando – non ho avuto dubbi. Exit West di Moshin Hamid è il mio personalissimo libro dell’anno.
L’autore compie una scelta estrema e coraggiosa: ricorrere agli espedienti di genere (i portali che evocano fin dalla parola stessa le storie di fantascienza alla Stargate) per raccontare in maniera lucida e ancor più drammatica il nostro tempo. Hamid sceglie quindi di non mostrare quella che, in fin dei conti, è una piccola parte della vita chi decide di migrare. Dunque non troverete mai l’immagine dei gommoni carichi di persone che solcano il Mediterraneo – quelle stesse immagini che abbiamo avuto davanti agli occhi così spesso da guardarle senza vederle più. Exit West ci ricorda che, solo vedendo la Storia da una prospettiva obliqua, è possibile mettere a fuoco le storie di tutti noi.
Di questo romanzo – che ha ricevuto un consenso unanime di pubblico e di critica – bisognerebbe non solo regalarne una copia a Natale, ma (proprio come è successo per Dovremmo essere tutti femministi di Adichie) distribuirlo nelle scuole. Perché Exit West è un libro venuto dal futuro per farci comprendere il presente e ricordare il passato. Del resto, «siamo tutti migranti attraverso il tempo».
Illustrazione di Jun Cen