Call me Cassandra. Se una delle videocassette più consumate di sempre è stata quella di Ritorno al futuro – «Sai, Marty, ora so che riuscirò a vedere il 1985, che costruirò questa macchina, che avrò la possibilità di viaggiare nel tempo!» –, se ho versato tutte le lacrime a mia disposizione sulle pagine di La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo (mannaggia a te, Niffenegger, mannaggia), be’… tutto questo aveva un senso.
Perché archiviate le brevi vacanze pugliesi – fra taralli, riso-patate-cozze e pasticciotti – mi sono di nuovo immersa in quell’ottovolante di pura follia che è la #vitadapendolare. Su e giù a rincorrere treni, saltando da una città all’altra in perenne ritardo. E sebbene le narrazioni fantascientifiche abbiano creato in me – e in altri milioni di esseri umani – enormi aspettative (spicciatevi con questo teletrasporto, su), una buona dose di realtà proveniente dal futuro l’ho avuta proprio in questo afoso settembre.
Abbiate pazienza, ma sto per parlarvi ancora una volta di Essere una macchina, il reportage del giornalista irlandese Mark O’Connell, un viaggio – riporto testualmente dal sottotitolo – «attraverso cyborg, hacker e futurologi per risolvere il modesto problema della morte». SBAM. Sì, perché O’Connell si muove con fare sicuro, come un novello Indiana Jones, nella giungla dei transumanisti. Tra gente criogenizzata in attesa di risvegliarsi in un futuro simile all’eternità (TARIFFE: 200.000$ corpo intero – solo 80.000$ per la testa) e altri che pensano di poter «caricare» la propria mente su un supporto simile a un hard disk, il mio desiderio di teletrasporto sembra un nonnulla. Ma non divaghiamo. O forse sì.
Mentre passeggiavo con Mark per le pittoresche – ma infide – stradine acciottolate di Mantova durante il Festivaletteratura 2018 (pensando a come avrei potuto tradurre il menu in inglese: lo sapevate che luccio si dice pike?) mi sono ritrovata a chiedergli: «Mi consigli dei libri?» Ecco, se avete uno scrittore sotto tiro domandategli sempre, ma dico sempre, qualche dritta in fatto di storie. In questo caso mi sono permessa di pilotare la risposta verso la letteratura irlandese. Tolta Edna «la regina» O’Brien e l’astro nascente Sally Rooney, mi sono appuntata i seguenti titoli: Il fiordo di Killary di Kevin Barry, Skippy muore di Paul Murray e Young Skins di Colin Barrett. Ne conoscete qualcuno?
Comunque, una delle polemiche rivolte più spesso a chi lavora in editoria è quella di pretendere che tutti i libri siano necessari. (Ma necessari a cosa, poi? A chi?) Be’, sapete cosa vi dico? Essere una macchina NON è un libro per tutti. Una volta tornata a casa, piena di tortelli di zucca e borsine di tela, mi sono chiesta come avrei potuto comunicare ai lettori l’opera d’esordio di Mark O’Connell, presentata in anteprima al festival. E mi sono risposta così: è un testo per i fan di Black Mirror, per chi ha stretto in braccio il proprio figlio appena nato e si è sentito l’essere più fragile dell’universo, per i nerd, per chi ha fatto una promessa a qualcuno in punto di morte, per chi vuole fare il figo con gli amici e dire: «Non avete idea di quello che ho letto», per chi almeno una volta nella vita si è sottoposto a una gastroscopia, per chi ama le storie e non crede nella divisione tra fiction e non fiction. Ed è, infine, per chi ha sempre sognato il teletrasporto.
RANDOM FACTS:
- Sono finita nella classifica dei dieci influencer che in Italia parlano di libri stilata dal «Sole 24 ore» (allego foto-testimonianza). La felicità.
- Ho un codice sconto per voi: NUVOLEDINCHIOSTRO, valido fino al 30 settembre se volete regalare (o regalarvi) un profumatissimo bouquet. In 24 ore Colvin recapita a domicilio, in quasi tutta la penisola, petali di felicità.
- La cosa che davvero ho più desiderato, in questi giorni, era di prendere l’ascensore, scendere da te al primo piano, entrare in casa, correre in cucina, tapparti gli occhi con le mani e chiederti: «Chi è?» E poter risentire ancora una volta la tua voce mentre esclamavi, divertita: «La mia Francesca!»
In fondo leggere Essere una macchina mi ha ricordato questo: che siamo umani. E che, nonostante tutto, è bellissimo così.