Intrappolata in un’eterna fuga, la protagonista di Adelante (Fazi, pagg. 272, 13 euro), opera prima della scrittrice genovese Silvia Noli, sintetizza perfettamente la condizione di precarietà tipica di questi anni. Da un lavoro all’altro, da una relazione all’altra, cambiando ogni dettaglio esterno della propria vita – casa, città, legami – per non dover fermarsi, guardarsi allo specchio e provare a riflettere su cosa si voglia davvero.
Ogni storia, anche la più piccola, merita di essere raccontata. Così, rielaborando con acume e ironia alcune esperienze personali, l’autrice ha saputo raccontare una storia attuale, tratteggiando una protagonista fragile in costante lotta con dubbi e paure nei quali non potremmo fare altro che rispecchiarci.
Adelante, la storia di una donna alla continua ricerca di sé e di un equilibrio: può essere considerata una sorta di autobiografia romanzata? Quanto c’è di lei nella protagonista?
Ho venduto surgelati, traslocato ossessivamente e lavoro presso un centro medico come la protagonista di questa storia: tuttavia non mi identifico nel personaggio di cui narro le vicende, quanto nel percorso. Il termine “percorso” ha un’accezione più fluida di “personaggio” o “protagonista”, perché assume il cambiamento, si slega dai connotati. Il percorso di cui parlo ha a che vedere con la ricerca di una maggiore consapevolezza di sé e dell’anticamera di quella ricerca, quando sei già sul sentiero ma non lo sai, quando ti pare di sapere chi sei e dove andrai e cosa stai facendo. Quando cambiare punto di vista ti sembra una debolezza piuttosto che una risorsa e cerchi di modificare o alterare sempre l’esterno, o l’altro, perché non riesci a cambiare te stesso. In tale senso questa storia può essere considerata un’autobiografia romanzata, uno sguardo sul mutamento che un’esistenza attraversa, affronta, celebra.
Il termine “percorso” ha un’accezione più fluida di “personaggio” o “protagonista”, perché assume il cambiamento, si slega dai connotati. Il percorso di cui parlo ha a che vedere con la ricerca di una maggiore consapevolezza di sé e dell’anticamera di quella ricerca, quando sei già sul sentiero ma non lo sai, quando ti pare di sapere chi sei e dove andrai e cosa stai facendo.
La protagonista è senza nome per la quasi totalità della narrazione. Un espediente per far immedesimare il lettore?
Il nome della protagonista, Rossa Consuelo, si legge solo alla fine della storia. Mi rendevo conto di scrivere di una donna senza nome, ma non intendevo stabilirlo, deciderlo. Mi sono detta: “O questo nome arriva da sé, emerge in modo spontaneo, o non se ne fa niente.” È arrivato mentre leggevo le pagine di un autore che amo, Peppe Lanzetta, proprio mentre questo stava andando in stampa. La protagonista di un suo racconto si chiama Rossa e visto che quel racconto mi è stato di consolazione…
Anche la città che fa, principalmente, da sfondo al romanzo non viene mai apertamente nominata. Tuttavia alcune descrizioni porterebbero a pensare a Genova. È solo un’impressione o si è realmente ispirata a questa città?
Mi sono ispirata a Genova, ai suoi vicoli stretti e alle sue zone di penombra che ad un tratto però diventano mare e fantasmagorie d’azzurro. Mi interessa il momento in cui le entità sconfinano, si fondono e si rivelano per ciò che può essere e che magari non sapevamo, non eravamo pronti a vedere.
In una recente presentazione del libro ha sottolineato come Adelante non sia in realtà il romanzo della crisi ma di una crisi emotiva. Non crede però che i due fenomeni possano essere collegati? Che la precarietà emotiva possa essere anche un riflesso di quella economica e sociale?
Posto che le criticità sono in grado alterare o annullare il nostro sentire ho il sospetto che sia la crisi interiore (che intendo come assenza di consapevolezza) la gatta da pelare per eccellenza di un essere umano e che venga legittimata ogni genere di scusante per evitare di occuparsi di qualcosa che in fondo temiamo moltissimo e che rischierebbe di sovvertire noi stessi e di conseguenza la società alle fondamenta: la consapevolezza di sé. Il tempo passa e si può arrivare alla fine della vista senza… “essersi accorti”. In questo senso affermo che in assenza di sé anche una situazione ideale non sarebbe percepita come tale e questa insoddisfazione in un modo o nell’altro sarebbe destinata a ripetersi perché il problema che sta alla base non è stato risolto.
Mi sono ispirata a Genova, ai suoi vicoli stretti e alle sue zone di penombra che ad un tratto però diventano mare e fantasmagorie d’azzurro. Mi interessa il momento in cui le entità sconfinano, si fondono e si rivelano per ciò che può essere e che magari non sapevamo, non eravamo pronti a vedere.
La sua passione verso l’arte non si ferma alla parola scritta. È impegnata anche e soprattutto a teatro. Ci può parlare dei suoi progetti?
Insieme alle altre componenti della compagnia teatrale “Beato Ragno” porto in scena uno spettacolo sui temi del corpo, dell’autenticità, dell’omologazione, del disturbo alimentare e della violenza domestica. Si tratta di uno spettacolo aperto al cambiamento, che può variare da una rappresentazione all’altra in base al nostro sentire e al lavoro su noi stesse.
Nel suo futuro ci sarà ancora spazio per la scrittura? Ha pensato a una possibile continuazione di Adelante?
Ho già iniziato a scrivere la continuazione di Adelante, mi preme “stare” ancora su certi temi, in particolare quello dell’ “accorgersi” . Inoltre mi preme celebrare ancora lo stupore legato alle meraviglie in cui ci si può imbattere nel corso di un’esistenza.
Illustrazione originale di Elena Triolo