Parigi, agosto 2006.
Sedici anni, cicciottella, capelli ricci, apparecchio ai denti e un paio di improbabili occhiali rossi – che ancora oggi conservo sul fondo di qualche cassetto della mia città di mare. I miei genitori si sono arresi: accasciati su una di quelle panchine per visitatori stanchi poste al centro della sala, hanno smesso di chiedermi quando proseguirà il giro del museo. Sebbene abbia voluto dedicare la maggior parte del tempo ad ammirare i dipinti di Monsieur Monet – le ninfee esercitano su di me un fascino ipnotico – è nella sfacciataggine di quel fiore rosso appuntato tra i suoi capelli che mi sono persa.
Torino, settembre 2016.
Inizio a lavorare in una casa editrice. Sulla copertina di uno dei primi libri che vengono pubblicati al mio arrivo campeggia quel fiore rosso. Quella donna, da me ammirata tanto tempo prima, ha ora un nome e una storia: Victorine Meurent, sedici anni e la voglia di trovare il proprio posto nella Parigi di tardo Ottocento. Lo farà prendendo a morsi la vita come solo chi ha fame di esperienza può fare. Innamorandosi di un uomo che cambierà, per sempre, l’arte come noi la concepiamo. Un uomo che, soprattutto, muterà in maniera irreversibile la percezione della sua femminilità e del suo essere artista.
Chi l’ha raccontata questa storia è l’autrice americana Maureen Gibbon, e io non potevo fare a meno di chiudere il cerchio chiedendole cosa l’avesse spinta a scrivere di quel fiore, dando vita all’intenso Rosso Parigi (Einaudi, traduzione di Giulia Boringhieri, pp. 248, 18 euro).
C’è sempre un momento preciso nella vita di una persona in cui, per qualche insondabile motivo, si rimane folgorati da un’opera d’arte. È successo così quando hai incontrato l’Olympia di Manet?
La prima volta che ho visto il dipinto è stato durante gli anni del college, su un libro. A quel tempo, l’unico pensiero che mi aveva sfiorato era quanto fosse bella la modella. Raggiunti i vent’anni, invece, ho capito quanto fosse inusuale il suo volto. Ecco come all’improvviso è diventata umana, incredibilmente vera: una giovane donna come me e non una semplice figura su una tela.
E questa donna a un certo punto ha iniziato a parlarti.
Dapprima mi sono imbattuta in Alias Olympia, il libro di Eunice Lipton, e la lettura ha solleticato la mia curiosità: dovevo saperne di più di questa Victorine Meurent. Quando ho iniziato a documentarmi sulla sua vita, mi sono subito innamorata della persona di cui stavo leggendo e che aveva vissuto così tanto tempo prima di me. Era una donna che nonostante appartenesse alla working class, sarebbe riuscita a diventare un’artista. E che avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella storia dell’arte, cambiandone inaspettatamente il corso.
C’è un’attenzione particolare per la Parigi ottocentesca: come sei riuscita a restituire sulla pagina i suoni, gli odori, e – sì – anche i colori dell’epoca?
È un periodo meraviglioso in cui perdersi! Ho studiato le fotografie di Charles Marville, così come una mappa della città risalente agli anni Sessanta dell’Ottocento. Sono state quelle foto (e altre opere d’arte) a permettermi di ricostruire la città di Victorine. Ho tracciato con il dito il percorso che lei era solita fare da casa al lavoro, immaginando tutto ciò che avrebbe potuto incontrare camminando tra le strade di Parigi. È stato inebriante passeggiare accanto a Victorine. Mi immergevo quotidianamente in romanzi, diari e riviste dell’epoca, senza però tralasciare i contemporanei, come ad esempio gli scritti di alcuni importanti storici dell’arte. Ho letto tutto quello che potevo sull’argomento. Su alcune vecchie scatole di candele ho rinvenuto addirittura delle etichette: tutti dettagli che poi sono confluiti nel libro.
Ho tracciato con il dito il percorso che lei era solita fare da casa al lavoro, immaginando tutto ciò che avrebbe potuto incontrare camminando tra le strade di Parigi. È stato inebriante passeggiare accanto a Victorine. Mi immergevo quotidianamente in romanzi, diari e riviste dell’epoca.
A proposito di dettagli, una curiosità: gli stivaletti verdi, indossati come un talismano dalla protagonista, sono davvero esistiti?
Ho visto una foto di questi stivaletti verdi risalenti al diciannovesimo secolo, e – pur sapendo che nella realtà lei non se li sarebbe mai potuti permettere – volevo che appartenessero a Victorine. Questo ha fatto sì che dovessi inventare una storia all’interno del romanzo per giustificare la loro presenza. Quando avevo ventun anni ero convinta di possedere un vestito magico. Penso che tutte le donne custodiscano un indumento, un accessorio, qualche capo di vestiario che considerano dotato di poteri magici e che le fa sentire completamente se stesse. Ebbene, gli stivaletti verdi hanno permesso a Victorine di percepirsi in modo diverso, e hanno fatto sì che anch’io potessi trovare un modo per diventare lei.
Manet non è mai nominato direttamente nel corso della storia, ci si riferisce sempre a lui con la sola iniziale del nome: si è trattata di una scelta stilistica o di un’esigenza narrativa? Ritenevi che la presenza esplicita dell’artista potesse risultare troppo ingombrante?
In realtà l’ho chiamato E. fin da subito. Chiaramente si tratta di un personaggio chiave, ma non volevo che il cuore di Rosso Parigi battesse solo per Édouard Manet: volevo che il mio romanzo fosse prima di tutto la storia di Victorine. Quando i due si conoscono, all’inizio della vicenda, per la ragazza lui non è un artista famoso: è solo uno sconosciuto che di lì a qualche tempo diventerà il suo amante. Volevo che nel libro fosse costante la sensazione di estraneità che provano due persone provenienti da mondi diversi, che hanno percorso sentieri altrettanto differenti, con un’estrazione sociale agli antipodi.
Il sesso gioca un ruolo importante nel libro.
Perché il sesso è parte integrante della storia di Manet. Certo, non ci sono prove che dimostrino il fatto che la relazione tra lui e Victorine andasse oltre il semplice rapporto tra artista e modella. Era un uomo riservato che non si sarebbe mai vantato delle sue conquiste, ma nonostante questo la sua vita sessuale è stata cruciale nella sua biografia: morì a soli cinquantun anni a causa di una sifilide trascurata. Quando ho messo a confronto Olympia e il piccolo Ritratto di Victorine Meurent (custodito nel Museo di Belle arti di Boston), vi ho visto desiderio accecante unito a tenerezza infinita – è stato a quel punto che ho scelto di immaginare Édouard Manet come l’amante di Victorine. Volevo provare a mostrare l’intimità profonda di due persone, e come il desiderio può cambiare gli individui. Lei ha acceso qualcosa nelle opere di lui; è passata dall’essere una figura inanimata in Victorine Meurent in costume di Espada a una donna vera e propria in Olympia. Mi sono detta che alla base del cambiamento che avevo riscontrato doveva esserci qualcosa, e credo proprio che quel qualcosa fosse la passione.
Volevo provare a mostrare l’intimità profonda di due persone, e come il desiderio può cambiare gli individui. Lei ha acceso qualcosa nelle opere di lui. Mi sono detta che alla base del cambiamento che avevo riscontrato doveva esserci qualcosa, e credo proprio che quel qualcosa fosse la passione.
Il titolo del tuo romanzo, Rosso Parigi, sembra possedere la stessa forza dei quadri di Manet: come ci sei arrivata?
Parigi perché evoca tutte le sensazioni che un lettore può avere della Ville Lumière – le avventure, gli intrighi, le emozioni. Rosso per il fiore fra i capelli di Olympia, per il colore della sua pelle quando si imbarazza, per la passione. Parigi perché molti di noi si sono innamorati lì. Rosso per le ragioni del cuore.
Rosso Parigi è anche il nome del tuo blog. Cosa ti ha spinto ad aprirlo?
Dovevo trovare qualcosa che mi tenesse impegnata mentre aspettavo l’uscita del libro. Alcune delle fotografie e delle immagini in cui mi ero imbattuta durante le ricerche erano state illuminanti, e mi sono detta che forse potevano essere interessanti anche per i lettori. Si trattava di materiale che non aveva trovato spazio nel libro e che invece risultava perfetto per un blog. Ho pensato che Paris Red Blog fosse il posto migliore per accogliere i dettagli della mia storia, che ritenevo tutt’altro che secondari. Quando lavoro a un romanzo, in fondo, quello che faccio è prendermi cura dei miei personaggi anche dopo aver scritto la parola fine.
E ora che la storia di Victorine sta affascinando lettori provenienti da diverse parti del mondo, sei pronta a lasciarla andare?
Ho terminato da poco un nuovo romanzo. E sto già per imbarcarmi in un altro progetto, che intreccia fatti reali a un pizzico di realismo magico – una sfida del tutto inedita per me. Ma questo è il mio compito di scrittrice: innamorarmi dei miei personaggi, e trovare il modo migliore per raccontare le loro storie. Costi quel che costi.