Quella mattina ascoltavo Diodato in cuffia. Avevo sonno, mi ero svegliata presto anche se non ero sul solito treno che mi avrebbe portata a Milano. Sì, perché Oscar, Marco ed io eravamo in auto. Direzione: Alessandria.
Un mese prima il chirurgo toracico aveva operato d’urgenza Oscar, comunicandomi che quell’accumulo di liquidi nel polmone destro era dovuto a un mesotelioma pleurico. «Non si può curare», mi aveva detto in un corridoio d’ospedale delle Molinette, mentre Marco era in volo, i miei a Genova e io mi trovavo sola in una città dove non conoscevo quasi nessuno. Gli ultimi anni li avevo passati su un treno, a fare avanti e indietro per lavorare in casa editrice, per cercare di farlo al meglio. «Vi prometto, – aveva aggiunto il medico, quando testarda gli avevo detto che pretendevo una soluzione, – vi prometto che vi metterò nelle mani delle migliori oncologhe che esistono oggi in Italia».
Una volta arrivati all’ospedale di Alessandria, mentre io ero accanto a Oscar in sala d’attesa, mentre Marco cercava disperatamente parcheggio, ricordo che avevo in mano il ticket che indicava il numero di persone davanti a noi. Di lì a poco avremmo conosciuto Federica Grosso e il suo fantastico team, eppure guardando il tabellone delle chiamate ho avuto un momento di smarrimento: cercavo Oncologia (è un tumore, no?). Invece sullo schermo blu lampeggiava la scritta PATOLOGIE RARE. Ho scattato malamente una foto, cerchiato di rosso la scritta, poi ho premuto invio.
I nove mesi della malattia di Oscar sarebbero stati scanditi da tanti piccoli grandi avvenimenti: la speranza di saperlo nel braccio sperimentale, la chemioterapia in pieno lockdown, i primi risultati, l’aggravamento, il ricovero in ospedale, la sospensione delle cure, il ritorno a casa, la possibilità di fare una nuova chemio, il tracollo. Sono state montagne russe emotive, in un continuo sali e scendi di terrore, gioia e disperazione. C’è stato però qualcosa che ci ha accompagnati come un’ombra malevola, e che non dimenticherò mai: la solitudine.
Perché è questo che fanno le malattie rare: ti portano in un altrove dove ti sembra che non ci sia nessuno che stia provando quello che provi tu, nessuno che stia attraversando le difficoltà che state attraversando tu e la tua famiglia. Eppure in Italia 2 milioni di persone sono affette da una patologia rara.
Nell’anno in cui il Covid-19 ha monopolizzato tutta l’attenzione pubblica, organizzare una raccolta fondi come quella in ricordo di Oscar è stato un modo per ribadire a voce alta che – tutti insieme – possiamo fare la differenza. Oggi è la Giornata mondiale delle malattie rare. Accendiamo una luce per far sì che nessun medico debba mai più dire: «Dal mesotelioma pleurico non si guarisce». Accendiamo una luce per trovare una cura. Accendiamo una luce per combattere quell’ombra che ci ha perseguitato.