IDENTIKIT: Porta spesso il basco – l’iconico berretto nero, il cappello dei contadini del País Vasco: divenuto simbolo, durante la guerra civile, degli anarchici antifranchisti – e ha una folta barba bianca. Nato a San Sebastián nel 1959, Fernando Aramburu ha insegnato lingua e letteratura spagnola. Dal 2009 si dedica esclusivamente alla scrittura. Con Patria, uscito in Spagna nel 2016, ha unito il successo di critica e di pubblico raccontando la storia di un’intera nazione.
Premessa n 1: Dipendenza dalle saghe familiari.
Che abbia un personalissimo debole per le saghe familiari è risaputo. Come non mi stanco mai di raccontare, ho avuto la fortuna di crescere ascoltando e custodendo storie di famiglia. I miei nonni erano una fonte preziosa: nomi di parenti lontanissimi nel tempo e nello spazio, amori interrotti dalla guerra, lettere provenienti dall’altra parte dell’oceano. C’era tutto un mondo – il mio – in quelle narrazioni. Per questo – e molti altri motivi – non resisto mai alla tentazione di buttarmi a capofitto in storie simili.
Premessa n 2: Madrid.
In un pomeriggio caldo di inizio ottobre dello scorso anno, mi trovo – per quegli strani incroci del destino – a girovagare per i corridoi della Central di Madrid. La libreria, un labirinto sterminato di carta e inchiostro che si sviluppa su più piani, dispone in bella vista pile e pile di un volumone nero. Una figura di spalle, la pioggia battente. Unica nota di colore: un ombrello rosso. Lo compro.
Svolgimento.
Quel volumone nero non è una storia qualunque. Me ne accorgo quasi subito, mentre lo tengo tra le mani, lo sfoglio in libreria. Perfino dagli sguardi di approvazione quando, infine, decido di comprarlo e portarlo – sfidando il peso della valigia – sull’aereo che mi avrebbe ricondotto a casa. Quello che ho con me è Patria (Guanda, traduzione di Bruno Arpaia, pp. 640, 19 euro), il nuovo romanzo di Fernando Aramburu. Libro dell’anno in Spagna, tradotto in un’infinità di paesi, Patria raggiunge un numero inaspettatamente alto di lettori. L’angolo di mondo raccontato da Aramburu non si muove di un millimetro dal suo paese natale. E raccontando una storia intima restituisce a pieno la storia della Spagna. Siamo a San Sebastián, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Imperversa l’ETA – Euskadi Ta Askatasuna, letteralmente «Paese basco e libertà» –, il movimento di lotta armata che per anni, anche dopo la caduta di Franco, funesta tutto il Paese con attentati e omicidi.
Bittori («Vittoria» in basco) perde il marito Txato, proprietario di un’officina che si rifiuta di pagare il pizzo all’ETA. Che l’omicida sia proprio il figlio di Miren, l’amica di sempre? In molti hanno visto nella relazione tra le due donne – donne detentrici del potere della parola, così diverse, eppure così simili – echi di Elena Ferrante. Vero, ma è altrettanto vero che – per temi, ambizione e mole – non è eccessivo sostenere che Aramburu abbia scritto il Guerra e pace basco. Perché Patria, nei suoi brevissimi capitoli che saltellano avanti e indietro sull’asse temporale – in un cui la pioggerellina tipica della regione basca fa da sfondo a silenzi, omertà e torture –, nella sua lingua essenziale e asciutta, racconta una storia di sangue: la storia di un popolo. Tutti, nessuno escluso, sono vittime, tutti sono carnefici. Non ci sono personaggi puri – in cui il Male e il Bene si incarnino – nel libro di Aramburu. «Prima di pubblicarlo ho fatto leggere il manoscritto a uno storico, a un giornalista, e anche a una vittima, che mi ha suggerito qualche cambiamento. Volevo avere la serenità che Patria non avrebbe offeso chi ha sofferto. Non me lo sarei perdonato».
Conclusione: Appuntamento con Fernando Aramburu l’11 settembre alle 18 al Circolo dei lettori, Torino. Giorni selvaggi è un progetto di Salone Internazionale del Libro e Circolo dei lettori.
Partner: Scuola Holden Storytelling & Performing Arts, COLTI – Consorzio Librerie Indipendenti di Torino, Biblioteche Civiche Torinesi, Torino Rete Libri, Babel Libreria Internazionale.