Giorni Selvaggi: Il settimo giorno di Yu Hua

Torino, un mercoledì pomeriggio di fine estate. La sala della Biblioteca Civica Centrale è strapiena di persone. Si fatica a entrare. Non i soliti studenti – chini sui libri, armati di tablet, evidenziatori, penne e fogli sparsi –, o quantomeno non solo. Gli universitari infatti sono in compagnia di un vivace gruppo di lettori e di molti rappresentanti della comunità cinese di Torino. Il quinto appuntamento di Giorni Selvaggi* si festeggia qui. Perché sembra una festa quando arriva lo scrittore cinese Yu Hua. «Questa è la mia quinta volta a Torino» esclama sorridendo a Stefania Staffutti, docente di lingue e letterature della Cina e dell’Asia Sud-Orientale, e alla traduttrice Silvia Pozzi. Yu Hua è «un narratore di storie che ci porta sì in Cina, ma che con la sua fantasia sfrenata riesce a condurci in mondi immaginari» esclama con trasporto la Pozzi.

Tra vecchi aneddoti e risate – c’è grande complicità, tanto che il pubblico sinofono scoppia a ridere ancor prima della traduzione in italiano – si parte con le domande. Non pensate a un incontro istituzionale. No. Gli interrogativi arrivano direttamente dal pubblico: un mix tra gli studenti dell’Università di Torino e dell’Istituto Confucio e i partecipanti del gruppo Letture dall’Asia, promosso dalla biblioteca. La curiosità è tutta rivolta all’ultima fatica letteraria di Yu Hua, Il settimo giorno.

«C’era una nebbia fittissima, quando sono uscito per avventurarmi nella città vuota e ovattata e andare alla camera ardente. È così che chiamano il crematorio ora. L’avviso diceva che dovevo presentarmi alle nove. La mia cremazione era fissata per le nove e mezza». È un incipit grottesco e folgorante, quello del Settimo giorno, come ammette – sfoderando un sorriso sornione ­– lo stesso Yu Hua.

Yang Fei, il personaggio principale, è già morto quando riceve una telefonata dal forno crematorio che gli dice: «be’, è tardi e tu non sei ancora qui». «Mi piaceva giocare con il fatto che anche i morti possono arrivare in ritardo!» scherza Yu Hua, e prosegue: «L’idea dell’aldilà che ho elaborato nel romanzo invece fa riferimento a una credenza cinese per cui le persone, una volta morte, si trovano in una fase intermedia che non è più aldiquà, ma non è già nemmeno aldilà. Il numero sette – 七  –  è uno dei numeri significativi nella tradizione cinese: simile a 起 , «sorgere» e a 气 , «essenza vitale». Inserirlo nel titolo è stata un’idea del mio editor, che ho accolto con piacere. Mi sono detto: perché no? Il sette è un numero importante in molte culture. A volte si pensa che le differenze tra Oriente e Occidente siano incolmabili, ma non è così».

«Il valore della letteratura poi sta proprio nel fatto di raccontare ed esprimere tutto ciò che accomuna noi esseri umani. La morte è un tema che attraversa le letterature di ogni tempo e ogni luogo. Ci riguarda tutti allo stesso modo.  Poi certo, le differenze di classe esistono, e ho voluto inserirle anche nel mio romanzo. Tutti i morti hanno un numerino: i poveri aspettano seduti su scomode sedie, i ricchi su ampie poltrone. Un’idea che mi è venuta andando in banca in Cina: la lunghezza dell’attesa è inversamente proporzionale alle dimensioni del conto in banca».

«La Cina che descrivo è piena di storture: cibo adulterato, confessioni estorte, demolizioni di abilitazioni. Ma la società cinese è meglio di quella che descrivo nei miei romanzi: potete andare in Cina tranquillamente, senza timore. Forse, questo mio particolare sguardo sul mondo dipende dal fatto che sono uno scrittore. Sono attratto dagli aspetti più problematici del Paese in cui vivo. E questa non è certo una caratteristica specifica degli scrittori cinesi, ma appartiene a tutti quelli che vogliono fare della propria scrittura un mezzo di denuncia, di critica.

Ci sono stati degli scrittori – moltissimi nella tradizione cinese – che si considerano dei medici della società. E si pongono come obiettivo quello di curarne i mali. Io non posso considerarmi un medico. Sono un malato, come tutti gli altri. Un malato in mezzo ad altri malati. Perché sono uno dei membri della mia società e ne porto traccia. Non è possibile che ne sia completamente immune. Nonostante tutto, spero che chi leggerà Il settimo giorno tra cent’anni possa capire cosa è accaduto in questa precisa epoca storica della Cina».

Esco dalla biblioteca pensando che non so se tra cent’anni accadrà, ma che adesso, a Torino in un mercoledì pomeriggio di fine estate sì, sta proprio succedendo: la Cina e tutte le sue contraddizioni mi sembrano, all’improvviso, meno distanti.

 

*Giorni selvaggi è un progetto di Salone Internazionale del Libro e Circolo dei lettori.

Partner: Scuola Holden Storytelling & Performing Arts, COLTI – Consorzio Librerie Indipendenti di Torino, Biblioteche Civiche Torinesi, Torino Rete Libri, Babel Libreria Internazionale.

 

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