A volte, in una recensione, è difficile rimanere obiettivi, spiegare ordinatamente, con una sequenza logica la trama, i personaggi, lo stile, l’autore. A volte si vorrebbe semplicemente scrivere: «leggetelo, dategli una possibilità, non ve ne pentirete».
É questo il caso de La bellezza delle cose fragili (Einaudi, traduzione di Federica Aceto, pp. 328, 19 euro), primo romanzo della talentuosa Taiye Selasi. Definito dalla rivista The Economist come uno dei migliori libri del 2013, l’opera della scrittrice di origine nigeriana e ghanese non tradisce le aspettative createsi alla notizia della pubblicazione.
E le aspettative erano molto alte. Taiye Selasi ha infatti studiato con nomi come Salman Rushdie e Toni Morrison, due dei più grandi autori di lingua inglese contemporanei ed è stata inserita dall’elitaria rivista Granta nella lista dei venti migliori scrittori al di sotto dei quarant’anni. Il titolo originale dell’opera prima di questa promettente scrittrice, Ghana must go – la frase stampata sulle borse dei rifugiati ghanesi cacciati dalla Nigeria nel 1983 – nell’edizione italiana è stato trasformato in La bellezza delle cose fragili. Stravolgimento forse fatto per non far cadere il lettore nell’errore di pensare che questo sia semplicemente un libro sull’Africa.
Taiye Selasi ha infatti studiato con nomi come Salman Rushdie e Toni Morrison, due dei più grandi autori di lingua inglese contemporanei ed è stata inserita dall’elitaria rivista Granta nella lista dei venti migliori scrittori al di sotto dei quarant’anni.
Il romanzo infatti è molto di più. É una poesia, un inno ai legami familiari, cosí fragili ma, allo stesso tempo così potenti, imprescindibili. É la storia della famiglia Sai, divisa da «chilometri, oceani, fusi orari e altri tipi di distanze più difficili da coprire», che si ritroverà, alla morte del capofamiglia, Kweku Sai, a riunirsi e fare i conti con il passato.
E in una danza, un balletto tra passato e presente, Ghana e Stati Uniti, il lettore scoprirà le cause che hanno portato Kweku a morire lontano. Lontano da tutto ciò che di più bello avesse mai costruito ed infine distrutto: la sua famiglia. Ma non solo. Grazie a una scrittura raffinata, complessa e straordinariamente empatica, lo stesso lettore si troverà coinvolto nel doloroso riavvicinamento dei Sai. Non come mero testimone, ma come fosse parte integrante della famiglia.