Finalista alla prima edizione del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza, Dentro c’è una strada per Parigi (Neri Pozza, pagg. 173, 16 euro) è il romanzo d’esordio della scrittrice italiana Novita Amadei. Un’opera prima sfuggente che ruota attorno alla vita di tre creature femminili: Martha, una giovane donna, sola, che ha appena perso il lavoro; Eline, sua figlia ed infine Adèle, l’anziana vicina di casa. Tre donne alla ricerca di un equilibrio, che riusciranno, insieme, ad affrontare la quotidianità e a riaprirsi all’amore, definito nel romanzo “il dolore più grande e la più grande consolazione”. L’autrice, che da anni vive in Francia, riesce a tratteggiare con grazia infanzia, maturità e senilità della donna, sullo sfondo di una Ville Lumière eterea, ben lontana dagli stereotipi abituali.
Dentro c’è una strada per Parigi è, senza dubbio, un titolo che colpisce. Come lo ha scelto?
“Dentro c’è una strada per Parigi” è il titolo di un disegno di mio figlio, nato cinque anni fa a Parigi. Il disegno rappresenta una strada che entra in un palazzo, una strada che porta a Parigi, appunto, perchè Parigi, per mio figlio, è casa sua prima ancora che la città. E’ lo stesso disegno che fa Eline, il personaggio bambino del romanzo, in chiusura del libro, e che esprime in qualche modo il bisogno dei bambini di cercare vicinanza e legame là dove la vita crea fratture. Nella casa del disegno trovano posto tutti, anche chi è lontano, lontanissimo, anche chi è morto, e la strada che la raggiunge si confonde col mondo («una strada alberata piena di uccelli e nidi, una strada di alberi, uccelli e nidi») ma non ci si puo’ perdere, arriva a destinazione, entra in casa, riporta tutti a casa.
Il romanzo è un’opera prima che descrive l’universo femminile. Era chiaro in Lei fin da subito che la storia dovesse essere incentrata su tre donne?
Non è stata una scelta voluta quella delle protagoniste femminili, mi è venuto naturale. Forse perchè è naturale per le donne parlare d’amore e il romanzo compone una riflessione corale sull’amore, l’amore mancato, lontano, l’amore infelice prima ancora dell’amore felice. Il tema dell’amore è spesso accompagnato da quello della perdita e dell’assenza, di come la vita si affaccenda intorno ai vuoti e cerca di risarcirne le lacune con parole, immagini, gesti a volte efficaci a volte destinati a restare false partenze, come quelle di Adèle, alla ricerca di quell’amante che credeva perduto.
Adèle, Eline, e Martha sono donne che riescono a trovare la forza l’una nell’altra, che nonostante le avversità raggiungono uno strano equilibrio che permette loro di affrontare le difficoltà di ogni giorno. Gli uomini invece sembrano solo capaci di scappare davanti alle responsabilità e agli ostacoli.
Nel romanzo i personaggi maschili sono personaggi di passaggio o lontani ed è in quest’assenza che si manifesta la loro presenza. Non trovo che scappino davanti alle responsabilità, ma di certo non partecipano al quotidiano femminile e in questo penso ci sia effettivamente una contrapposizione fra mondo maschile e femminile, nel diverso “esserci” nella vita di tutti i giorni. Inoltre, come dicevo sopra, le donne, a differenza degli uomini, vivono in una dimensione narrativa molto forte che permette loro di parlare più spontaneamente dell’amore e del dolore.
Spesso, nella narrativa, i bambini sono decritti con toni irrealistici: pensieri e parole assomigliano a quelli di adulti in miniatura. Lei, invece, è riuscita a caratterizzare in maniera particolarmente credibile il personaggio di Eline, la piccola bimba di Martha. Per riuscire in questo intento si è ispirato a qualcuno in particolare?
Non credo avrei potuto mettere in scena un personaggio bambino se non fossi madre. Eline è in gran parte Tobia, mio figlio, ma per prendere distanza dalla persona reale e entrare nella dimensione narrativa, ho dovuto intanto pensarlo bambina, poi, come capita nella narrazione, il confine fra realtà e immaginazione a poco a poco si confonde e il personaggio vive di vita propria al punto che i tratti della persona o delle persone a cui è ispirato vanno a scomparire.
Il libro è ambientato a Parigi. La città è tratteggiata con pennellate lievi, evanescente e liquida come un acquarello. Perché ha scelto proprio la capitale francese per il suo primo romanzo?
Parigi è una città che amo profondamente, nella quale ho vissuto diversi anni, da cui mi allontano ma a cui ritorno. Alla nascita di mio figlio ho imparato a conoscere una Parigi quotidiana, una metropoli domestica, di quartiere di giardini e teatri per bambini. E’ questa Parigi a essere sfondo della vicenda e specchio dei personaggi. La Parigi storica, monumentale fa delle incursioni puntuali e tutto sommato secondarie nell’arco del racconto, come a testimoniare che quella città esiste ma è un altrove rispetto a quella dei personaggi. Il romanzo, infatti, narra una vicenda interiore in una città interiore, vista da dentro, dagli occhi e dalle solitudini dei personaggi che la abitano.
Lo stile che ha usato per descrivere i personaggi e le ambientazioni è elegante e delicato. Se dovesse indicare uno o più autori che hanno influenzato la sua scrittura, quali sarebbero?
Devo molto ad Alice Munro e alla letteratura israeliana contemporanea, penso in particolare a Abraham Yehoshua e Amos Oz.
Abitando in Francia, ha mai pensato di scrivere e pubblicare il suo libro in francese? Com’è il mondo editoriale d’oltralpe rispetto a quello italiano?
La realtà editoriale francese mi sembra più coraggiosa di quella italiana, più aperta agli esordienti e agli stranieri. Non ho mai pensato, però, di scrivere in francese, non potrei. La lingua materna è una sorta di seconda pelle che filtra il modo in cui pensiamo e raccontiamo il mondo. Inoltre ha un valore affettivo fortissimo e, come non potrei parlare ai miei figli in una lingua che non sia l’italiano, così non potrei scrivere altrimenti che in italiano. Ciò non impedisce però al francese di entrare nella mia scrittura. L’editor che ha lavorato sul mio testo, per esempio, ha trovato moltissimi francesismi nella costruzione delle frasi o nella scelta delle parole e neologismi nati dal francese che che fa capolino nell’italiano.
Progetti per il futuro?
Sto riguardando una raccolta di racconti che precede Dentro c’è una strada per Parigi. E poi, sì, penso che lavorerò su un nuovo romanzo che per ora sto solo cullando in testa.