Scrittore best seller, creatore di Rocco Schiavone, una delle figure più controverse della letteratura noir degli ultimi anni, Antonio Manzini ha ufficialmente aperto Dentro le Storie, rassegna letteraria organizzata nella cittadina di Santa Margherita Ligure.
Non è stagione (Sellerio, pagg. 317, 14 euro), terza indagine del vicequestore Schiavone, si conferma – come i due precedenti – un noir godibile. Il ritmo, l’ironia che pervade il testo e il nero sempre più fitto che avvolge il protagonista; tutto è calibrato nell’ultimo romanzo di Manzini. Anche il cliffhanger, quel colpo di scena finale che costringe il lettore a contare i giorni che lo separano dalla lettura della prossima avventura.
Ma come nascono questi testi così ben congeniati? Provando a immergerci dentro le storie che vedono protagonista Rocco Schiavone, lo chiediamo allo stesso Manzini in occasione della kermesse ligure.
Nello scrivere un nuovo testo, parte da un’idea precisa e sa già, a grandi linee, il percorso che intraprenderà o, al contrario, è libero da schemi precostituiti?
Lo scheletro della storia è presente fin dall’inizio. Mi piace farmi un minimo di schema oggettivo di quello che accadrà, almeno dei nodi drammatici del racconto. È una fase di preparazione che serve sempre e, secondo me, è abbastanza utile. Anche se poi un po’ la ignori, un po’ la eviti, non la sposi completamente mentre scrivi. Però è importante avere una traccia abbastanza chiara di quello che stai andando a fare. Con questo tipo di racconti, c’è bisogno di una chiarezza a priori.
Rocco Schiavone: una figura atipica. Com’è nata? Quanto c’è di lei in questo personaggio?
Com’è nato non me lo ricordo perché è stato un processo lento. L’avevo in testa da un po’ di tempo. Poi è cambiato mentre scrivevo. Era molto cattivo, molto più sinistro di quello che poi, in realtà, è diventato. Ha avuto una genesi particolare: da cattivissimo è diventato un pochino più malleabile. Di me non credo ci sia nulla. Forse l’unica cosa è che vorrei essere come lui, ma non ci riesco, non ci sono mai riuscito. Forse c’è una frustrazione…
Un desiderio nascosto?
Forse neanche tanto nascosto. Almeno per me di essere quel determinato personaggio. Non ho il coraggio e non sono attrezzato né culturalmente né socialmente per esserlo.
Le indagini del vicequestore sono ambientate nel suggestivo e ostile paesaggio della Val d’Aosta. Perché ha scelto questa ambientazione?
Io conosco Aosta e la Valle d’Aosta e la amo, ma l’ho scelta per una precisa caratteristica morfologica. Se si osservano le montagne della Valle d’Aosta – il Bianco, il Cervino, il Rosa – si nota come la roccia sia nera, incombente, per nulla rassicurante, molto selvaggia. Anche le valli non sono dolci, non sono accoglienti e questo panorama assomiglia molto a quello interiore di Rocco Schiavone. Rocco è molto più vicino alla Valle d’Aosta di quanto possa credere. Poi doveva essere un posto freddo, lontano, distante, che dava ancor di più il senso di perdita d’identità, di passato e anche di presente. La Valle d’Aosta non c’entra nulla con Roma – sua città di origine – né climaticamente né geograficamente. Rocco aveva bisogno di essere tradotto in un posto così.
Se si osservano le montagne della Valle d’Aosta – il Bianco, il Cervino, il Rosa – si nota come la roccia sia nera, incombente, per nulla rassicurante, molto selvaggia. Anche le valli non sono dolci, non sono accoglienti e questo panorama assomiglia molto a quello interiore di Rocco Schiavone. Rocco è molto più vicino alla Valle d’Aosta di quanto possa credere.
Il ritmo che caratterizza i tre romanzi è serrato. Alcuni passaggi sembrano quasi sceneggiature, facilmente traducibili nel linguaggio cinematografico. Se dovesse pensare a un’eventuale trasposizione sul grande o piccolo schermo, su quale regista e quale attore cadrebbe la sua scelta?
Non ne ho la più pallida idea. È un problema che mi dovrei porre, ma non me lo voglio porre perché so che non troverei la risposta. Aspetto stimoli esterni perché sono troppo coinvolto.
Preferirebbe quindi un suggerimento da qualcuno, una proposta?
Magari un’ampia discussione su chi ha voglia di tradurre in linguaggio cinematografico le mie storie, sia dal punto di visa attoriale che registico. Un regista ideale, non lo so. Esisterà sicuramente… Mi piacerebbe un signore che abbia sia dei tratti ironici – che conosca bene la commedia – ma che, soprattutto, conosca bene la suspense, il ritmo, il montaggio serrato. Sia un po’ due registi in uno. Non è facile trovarli, ma sicuramente ce ne sono.
Senza voler fare spoiler, il finale di Non è stagione lascia in sospeso molti interrogativi sulla storia di Rocco. Può darci qualche anticipazione sul prossimo romanzo?
La storia personale di Rocco dovrà essere verbalizzata, dovrà essere raccontata, dovrà essere – quantomeno – chiarita su certi aspetti. Magari ci saranno degli strascichi di questa storia accennata alla fine di “Non è stagione” che, probabilmente, non ha ancora concluso il suo iter narrativo.