La prima volta che ho sentito l’espressione “mesotelioma pleurico” è stata lo scorso febbraio. Faceva freddo, ero con mio suocero Oscar alle Molinette di Torino. Lui era stato operato d’urgenza, perché faticava a respirare. Io ero sola. Marco si trovava su un aereo, sarebbe arrivato a Torino in serata. I medici mi avevano detto che si trattava di un’operazione semplice, raccomandandomi di stare tranquilla.
Quando il chirurgo è uscito dalla sala operatoria si è avvicinato dicendomi: “Signora, l’operazione è andata bene. Oscar si sveglierà tra poco. Purtroppo però abbiamo scoperto che è affetto da mesotelioma pleurico”.
Il mesotelioma pleurico è un tumore rarissimo: colpisce la pleura, la membrana che riveste i polmoni e la parete interna del torace. Si sviluppa a causa dell’esposizione all’amianto.
“Come si guarisce dal mesotelioma pleurico?”, ho chiesto io. Il chirurgo mi ha guardata un po’, prima di rispondermi: “Non si guarisce”.
Dopo nove mesi da quel giorno di febbraio Oscar è mancato. È successo il 16 ottobre, il giorno successivo al mio compleanno. È mancato dopo aver tentato la cura più avanzata che esista oggi al mondo, il protocollo sperimentale che l’ospedale di Alessandria ha sviluppato insieme all’università di Kingston, Canada.
È stato il miglior suocero che potessi desiderare, ed è stato per me un privilegio potergli stare accanto fino alla fine.
Ho voluto condividere questa storia con voi per chiedervi un aiuto. Non posso più salvare Oscar. Ma posso, anzi possiamo, grazie a una donazione alla Fondazione Buzzi Unicem di Casale Monferrato (l’unica in Europa che si occupi di questa specifica ricerca), fare in modo che in un futuro – speriamo non troppo lontano – nessun medico debba mai più dire “dal mesotelioma pleurico non si guarisce”.
Vorrei davvero che un giorno questo dolore mi fosse utile: grazie di cuore per quello che potrete fare.
Francesca