«Francesca, ma alla fine che lavoro fai?» Non rispondo quasi mai «ufficio stampa». Negli anni ho trovato una formula mia, un po’ più lunga: «Cerco i lettori giusti per i romanzi e gli autori di cui mi prendo cura». È tutto lì. Racchiuso nella seconda parte della storia. Vi siete mai chiesti cosa succede dopo la pubblicazione di un libro? Chi sono le persone che ci lavorano? Lo scorso anno ho avuto la possibilità e la fortuna di occuparmi di un romanzo, Il giro del miele (Einaudi, pp. 248, 19,50 euro). Di costruire insieme all’autore – Sandro Campani – «Il giro del giro del miele», uno scoppiettante tour che ha toccato diverse città italiane. A un anno esatto dall’uscita del libro, ho pensato di raccontarvi com’è andata. Proprio qui, su Nuvole. Anzi, ho chiesto a Sandro di raccogliere quel nodo di ricordi ed esperienze che è stato l’anno passato sotto il segno della lince. Prima di lasciarvi alle sue (dolcissime) parole, permettetemi di aggiungere questo: GRAZIE. Grazie ai librai, agli organizzatori di festival, ai giornalisti, agli scrittori, ai blogger, a voi lettori. Avete amato la storia di Davide, della Silvia, di Giampiero e della lince. Avete amato Sandro Campani. E, senza saperlo, avete amato un po’ anche me.
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È stato impegnativo incastrare i viaggi di lavoro, sottrarre tempo alla scrittura e trovarmi in giro, per tanti appuntamenti da non contarli più, una cosa che non avevo mai fatto e che stavolta ci tenevo a fare: per l’amore che ho messo in questo libro e per l’amore che ci hanno messo le persone che ci hanno lavorato, e i lettori, e i librai: perché tu puoi anche credere che la fatica di scrivere e riscrivere, e poi editare un testo, sia tutto; ma c’è la fatica di chi da anni sballotta scatoloni, controlla le bolle, riordina scaffali e si prende cura del libro appena nato, e si sbatte per farlo camminare: è la seconda parte della storia, ed è importante quanto la prima, perché solo così il libro incontra le persone che lo amano. Prendere treni, prendere dimestichezza con la macchina – amare persino le strade con la nebbia e la pioggia, gli spazzavetri malandati e le rotonde truffaldine. Scovare cose nascoste del tuo mondo.
Il giro de Il giro del miele è cominciato a Bologna, alla Modo Infoshop, con Emidio Clementi: «Che cosa salva Silvia di Bologna? Eh?» «I Massimo Volume, salva, cosa volete mai che salvi?» Mimì è stato il mio primo maestro. Non avrei potuto partire senza il suo abbraccio, così come non avrei potuto tirar dritto senza Giulio Mozzi, a Padova. Mi è mancato solo Andrea Bergamini, perché da Roma non sono passato. Ma con lui ho fatto una chiacchierata al telefono, durante un viaggio, perciò i maestri mi son stati tutti accanto. A Sassuolo abbiamo fatto la seconda tappa, perché Sassuolo è la cittadina che sta ai piedi delle mie valli, è il posto dove lavoro, ed è il posto della Libreria Incontri, la mia libreria da una vita, dove passo anche solo per sentirmi bene, e dove stanno l’Ivonne e la Laura. L’Ivonne non è solo una libraia competente e una amica cara: è una delle due o tre persone a cui faccio leggere le cose che scrivo prima di attentarmi a mandarle in giro; prima di tutto, ci vogliono i suoi segnetti a matita. È stato bello presentare il libro con Emilio Rentocchini, che è un grande poeta e conosce molto bene l’Appennino.
A marzo son stato in Romagna (è già esotica, per noi emiliani, la Romagna: quelle casette piatte, quei frutteti, quelle palme, quell’orizzonte fiacco che non si sa dove vada a parare, e poi lo capisci: al mare, che è fiacco anche quello). Fra Cesenatico (da Stephanie, a Pagina 27), Cattolica (la prima lettura radiofonica del giro, a Radio Talpa). Poi Pesaro alla libreria il Catalogo, con la sua viuzza fredda da mare d’inverno, in cui s’immaginavano le infradito di famiglie passate e future; le volte di mattoni rossi, e Giovanni Trengia che fumava, con la passione di chi i libri li soppesa e li sa accompagnare: e la sorpresa di vedere arrivare Alessio Torino, uno scrittore che seguo dai tempi in cui fummo compagni in Pequod, ma che non avevo mai incontrato: Alessio l’ho poi ritrovato a Urbino, a giugno, e là ho avuto la fortuna di dialogare con lui e con Marco, il mio editor, riguardo al lavoro che sta dietro le quinte. Di nuovo in Emilia: a Carpi alla Fenice, da Giuliano, dove ho ritrovato un vecchio amico, Ziro, i suoi appunti in bella grafia – siamo stati bene come quando suonavamo insieme, e ci siamo rivisti a maggio, quando il giro è passato di nuovo di lì.
A Modena è stato un delirio: la Ubik era strapiena di gente, e di amici; la Ubik di Modena è accogliente, attiva, sempre attenta; Eleonora, Marco, Alessandro e Chiara si danno un bel po’ da fare. Quella sera ero con Ugo Cornia e Ilmo Malagoli, in camicia rosa: Ilmo Malagoli dovreste conoscerlo; non posso spiegarvelo perché occorrerebbe un libro apposta, sappiate solo che è la mente che muove le cose più strampalate e geniali che si fanno a Modena da vent’anni a questa parte, e che non si riesce a farlo smettere di parlare neanche a sparargli: eppure quella sera Ugo l’ha messo in riga. Poi c’era Morris, il mio amico buttafuori (consulente prezioso per Il giro del miele), che mentre cominciavo a firmare le copie si è piazzato di fianco alle signore che arrivavano timide e ripeteva: «Dài Campani, che andiamo a ber ’na birra!» con una voce che squassava i muri.
Genova, accanto al porto, insieme alle persone care con cui ho lavorato al libro e progettato il giro, e Michele Vaccari, un lottatore. In Veneto, ad aprile: vi ho detto di Giulio Mozzi a Padova, con cui abbiamo parlato di frontiera, di western, e della lince che è Dio, perché al suo cospetto, quando appare, non ci si può esimere dalla verità; vi dico quanto bello è stato poter fare una serata insieme a Matteo Bussola, a Verona; vi dico di Bassano, dov’era primavera e ho camminato in riva al Brenta con l’erba fosforescente e i ciliegi in fiore, e sono arrivato a palazzo Roberti, dove sta una libreria fra le più belle d’Europa (non lo dico io, è certificato), gestita da Lavinia, Lorenza e Veronica, tre sorelle, una stanza per ogni disciplina, e girando per le sale settecentesche sembra un po’ d’essere a Hogwarts; vi dico di Conegliano, dove ho dormito in un albergo pieno di gagliardetti dell’Inter, con la maglia di capitan Zanetti in una teca, e ho conosciuto Riccardo, Paolo e Giuliano; di quanto è stato caro Paolo Malaguti, che s’è sobbarcato due presentazioni in una sera senza ripetere una sola domanda e per di più m’ha scarrozzato in macchina, e abbiamo chiacchierato di chitarra e batteria; quindi, devo dirvi di Castelfranco Veneto: la Ubik di Castelfranco è quel posto in cui mi sono reso conto, forse per la prima volta seriamente, di cosa può essere una libreria, oggi. Un’opera d’arte, fin dalla vetrina; un rifugio, un centro di aggregazione sociale, un punto d’incontro e di ritrovo; una biblioteca in un luogo dove le biblioteche chiudono per cecità istituzionale, un posto dove i bimbi si divertono e disegnano, dove si coltiva la curiosità e si offre spazio a chi voglia dialogare, sporcandosi le mani con la realtà ma sapendo bene qual è la propria parte, senza tentennamenti; una luce accesa per la città intera; poi, anzi prima di tutto, una libreria è un’azienda: ci sono le cedole da compilare, i resi da fare, la comunicazione da curare in modo intelligente. Clara, e Carlo, queste cose le fanno tutte insieme, e pure altre. Passare del tempo con loro, sentirli parlare di storie, della lingua che serve a raccontarle, è stata una fortuna. Andateci, alla Ubik di Castelfranco Veneto, non abbiate paura che sia tardi, probabile che la troviate aperta anche a mezzanotte; sostate un po’ sul marciapiede, entrate: l’unico rischio è che poi non vogliate venir via.
Un sabato a Piacenza, a Caratteri Mobili, da Gabriele Dadati e dal suo Papero, che ama tutti gli oggetti di carta, non si ferma ai libri, e lì a due passi dalla stazione dei treni fa cose importanti per la comunità. In maggio, in Sicilia, il giro più dolce, una vacanza. Ero invaso di felicità, guidato da una polena sul mare. Ogni persona che ho incontrato mi ha risposto con un pezzetto della mia stessa gioia. A Messina con Salvo, la sua Feltrinelli strana: visitare la città con i suoi occhi e i suoi racconti, gufare la Juve in Champions a cena, da interisti quali siamo. Palermo, alla Modus Vivendi, dove capisci perché Fabrizio Piazza è un grande, e cosa sono lettori preparatissimi come Francesca Maccani, e t’incanti ad ascoltare Giorgio Vasta. Giorgio Vasta! Lo leggi e ti dici «Mio dio, che lingua sfaccettata, controllata, inventiva, che padronanza impressionante». Lo ascolti e capisci che lui parla così: la coincidenza cronometrica con cui i pensieri gli escono dalla bocca, con quelle parole esatte, lucide come quelle di nessuno. Garigliano, il dolce Garigliano, che mi ha presentato alla libreria Vicolo Stretto, a Catania: un altro marciapiede in cui è prezioso far venire buio, con delle birre in mano, guardando la gente passare, insieme a Maria Carmela e Angelica. Sai che se tu abitassi lì, sarebbero le amicizie su cui conti, e vorresti uscirci ogni sera.
Salerno, con Francesco Durante, e il caro Paolo Di Paolo, che ha amato il giro del miele e si vedeva. La Val Comino, al Festival delle Storie con Vittorio Macioce, che voglio ringraziare per quei giorni in un Appennino sorprendente. Fiuggi, per il Trovautore, con la Cartoleria Cartolandia: Pierluigi Barberio, Francesco Severa… e Fabrizio Patriarca! Conoscere Fabrizio Patriarca è stata un’altra meraviglia che il giro mi ha portato. Parlare di idee sottilissime, con lui, e il momento dopo biascicare battutacce; punzecchiarsi a vicenda il cervello su certi problemi tecnici, con una luce negli occhi speculare che riduce a sfondo tutto il resto (eppure diversi più di quanto siamo io e lui, a leggerci, si fatica a immaginarne); a Fiuggi ci siamo divertiti come matti, in quell’atmosfera decadente di parchi dai grandi castagni e abeti cittadini, il verde che invecchia e ombreggia il liberty delle città termali. Napoli, per Un’altra galassia, dove Valeria Parrella aveva preparato una scena notturna, nel cortile del convento: leggevo con due bottiglie di grappa accanto, la stessa che Giampiero e Davide bevono nel romanzo: ogni volta che mi fermavo, qualcuno dal pubblico doveva alzarsi e venire a scolarsi un bicchiere, se voleva che io continuassi. Ce n’era per tutti, e la grappa è finita. L’atmosfera di Gavoi e dell’Isola delle storie, che bisogna vederla per crederci, con l’ospitalità di Marcello Fois, tutta quella gente che riempie quel paesino sperduto nel cuore della Sardegna, dove è piovuto come non faceva da diciassette anni. Così come è piovuto all’Isola d’Elba, dove comunque c’è stato il tempo per nuotare, e chiacchierare con Cinzia Salomoni Siano e Maria Cristina Servolini, alla libreria Stregata: un’isola di bellezza in un’isola di bellezza.
A Parma son stato due volte: da Antonello e Alice ai Diari di Bordo, e alla libreria Fiaccadori, dove ho trovato Eleonora, Donata, Chiara, Alice e Federica, che mi hanno accolto con un affetto che non dimentico: tornerò a trovarle, presto. E magari conoscerò Luca, che quella sera non c’era. Alla libreria Fiaccadori c’era il gruppo di lettura più agguerrito che avessi mai visto (e dico tanto, perché i gruppi di lettura son stati un’altra sorpresa: parlare con persone che ti hanno già letto, e son più preparate di te; la moglie di un falegname che ti dice di come suo marito abbia riconosciuto ogni odore delle essenze di legno che descrivi, un apicoltore che si sente raccontato, un ragazzo che s’era informato per ammazzare un cane e ha litigato con la fidanzata che gli diceva, mentre leggevano insieme «Ecco, vedi! Non vorrai mica che facciamo quella fine lì!»: sicché sublimare l’uccisione del cagnaccio che mi tormentava mentre scrivevo, facendolo morire sulla carta, ha salvato la vita a un cane vero in un’altra parte d’Italia). Sempre alla Libreria Fiaccadori ho conosciuto Massimo Mainardi, che è diventato un amico, e con lui sono andato a Salsomaggiore, di nuovo alla Ubik, dove Campanini, il libraio dai capelli rossi, ha detto: «Beh, io sono un diminutivo».
A Pistoia, allo Spazio di Via dell’Ospizio, e poi a Firenze, gli amici mi hanno circondato e coccolato: Emiliano Gucci, Lorenzo Mercatanti, Michele Cocchi, Valerio Aiolli, Patrizia Barchi, il libraio romanaccio Mauro Pompei, con cui si progettava di ritrovarci tutti per suonare, non per leggere, e fare un po’ di baracca. Gli imprevisti del viaggio, poi, mi hanno fatto all’ultimo il regalo di conoscere Nicola H. Cosentino: la dolcezza e la precisione con cui ragiona e parla, l’equilibrio del presentatore perfetto, che trasmette al contempo l’emozione e la tecnica. Cercate e leggete il suo Vita e morte delle aragoste, poi mi saprete dire. Con lui sono stato a Milano e a Vigevano: Le Notti Bianche, una libreria indipendente e non settaria, accogliente, bendisposta, con una scelta di titoli curata e uno spazio che invoglia a stare insieme: Ludovica sta facendo un ottimo lavoro, e la piazza di Vigevano è stata una bella sorpresa, da turista. Nelle foreste casentinesi, a Chiusi della Verna, dove i ragazzi della cooperativa In Quiete (e già dal nome ferrettiano che hanno scelto, ci stavamo simpatici) organizzano da qualche tempo un festival che fa vivere la montagna. Alba, dove l’incontro era organizzato da due librerie insieme (e questa è una cosa che mi piace sottolineare, perché è intelligente), la libreria San Paolo e la libreria La Torre: di nuovo abbiamo evocato Ferretti, e Fenoglio, e Paolo m’ha portato in giro raccontandomi la storia dell’industria della cioccolata, e Alessandro mi ha consigliato un mucchio di libri da leggere: ogni volta che tornerò, perché da quelle parti devo sempre tornare, vi passerò a trovare, amici.
Chiudo con la Versilia, non perché sia l’ultimo giro de Il giro del miele: ce ne sono altri che aspettano, altri ne ho fatti. Ma quel Tirreno è il mio poco di mare, io che di mare so poco e l’ho imparato pian piano: il mare dirimpettaio, dei toschi, dove si va se si passa il crinale, dalle nostre valli, in giornata. Quei due giorni in Versilia sono stati speciali, per me. A Marina di Carrara, alla Nuova Avventura, con Caterina e Enrico, la storia della loro libreria che resiste, la cena a casa, i gatti che mi saltavano in braccio, delle risate forti da tirar giù i muri come sono abituato a fare in famiglia. La mattina dopo, rincoglionito, sono salito a Bergiola, mi son seduto sui gradini di una chiesa; mi sono addormentato nella macchina parcheggiata al sole freddo. Poi sono andato a Viareggio, per le strade dei marmisti che sono abituato a girare per lavoro: Lettera 22 è l’ultimo posto di cui voglio dirvi, e che porterò nel cuore, dove è stata Cristina Bulgheri a voler bene alla lince. Quanto è bello sapere che da quelle parti torno spesso, e posso sempre passare a salutare. Una libreria che fa del suo essere piccola un pregio: in ogni centimetro di esposizione si legge un’idea, un percorso; e infatti Elena e le altre ragazze mi hanno consigliato dei libri che mi hanno aperto la testa: abbiamo parlato delle storie che adesso andranno scritte, ci abbiamo ragionato insieme. La mattina, prima di prendere il passo del Cerreto e tornarmene a casa, ho camminato sulla spiaggia e raccolto conchiglie come si fa in questi casi, nei giorni oziosi di bassa stagione, ho visto una polena ormai volta all’orizzonte allontanarsi sull’acqua, svanire, ho salutato.