Se dovessi racchiudere in una sola immagine il mio personalissimo concetto di estate, vi racconterei di una bambina che leggeva. L’immensità dei mesi estivi è sempre stata scandita dai tempi delle parole. Non importava dove fossi – se tra le montagne care alla mia famiglia, o sperduta nei campi di grano della Pianura Padana, oppure ancora nella mia città di mare –, avevo sempre con me un libro. Ed ero felice. L’estate coincideva – e non ha mai smesso di farlo – con quel tempo sospeso in cui la lettura incarnava un’ossessione. Ogni estate, puntualmente, iniziavo una saga familiare.
Ho avuto la fortuna di crescere ascoltando e custodendo storie di famiglia. I miei nonni erano una fonte preziosa: nomi di parenti lontanissimi nel tempo e nello spazio, amori interrotti dalla guerra, lettere inaspettate provenienti dall’altra parte dell’oceano. C’era tutto un mondo – il mio – in quelle narrazioni. Per questo, crescendo, non ho potuto fare a meno di appassionarmi a quei volumi che narrano di storie familiari. Quest’anno la scelta è ricaduta su Gli anni della leggerezza di Elizabeth Jane Howard (Fazi, traduzione di Manuela Francescon, pp. 264, 18,50 euro), il primo volume della saga dei Cazalet. SPOILER: ho aspettative altissime.
L’estate coincideva – e non ha mai smesso di farlo – con quel tempo sospeso in cui la lettura incarnava un’ossessione. Ogni estate, puntualmente, iniziavo una saga familiare.
Secondo consiglio, secondo colpo di fulmine. È possibile innamorarsi di una prefazione? La risposta è sì, se si parla di libri-stelle che, anno dopo anno, eteronimo dopo eteronimo, formano costellazioni: soprattutto se lo scrittore è Pessoa, e se a comporla è Lorenzo Flabbi. Prima di partire per il Portogallo – mi aspetta qualche giorno a Lisbona, e poi via, giù al Sud, alla scoperta dell’Algarve –, girovagavo in libreria pronta a compiere il rito tradizionale che caratterizza ogni mio viaggio all’estero. Scegliere con cura quale universo portatile di carta e inchiostro mi permetterà di compiere un viaggio nel viaggio: un meta-viaggio, insomma. Scartati Saramago e Tabucchi – di cui ho già letto il leggibile –, sono stata attratta da un libriccino verde: Perché sognare di sogni non miei? Lettere dal mio altrove (L’orma editore, traduzione di Silvia Bilotti, pp. 64, 5 euro). Una raccolta epistolare dello scrittore portoghese nel tipico formato che caratterizza I Pacchetti, libri da chiudere, affrancare e imbucare in una qualsiasi cassetta postale. Perfetto per i miei giorni in terra lusitana.
Da qualche mese, mi guarda dallo scricchiolante scaffale della mia Billy Il ragazzo selvatico (Terre di Mezzo, pp. 101, 12 euro) di Paolo Cognetti. Una storia di fuga dalla città, in mezzo alla natura, per ritrovare se stessi e fare i conti con il proprio passato. Soli, in una baita a duemila metri. Ho apprezzato da subito la scrittura di Paolo, almeno da quando ho conosciuto la sua Sofia. Ma, inutile negarlo o nasconderlo, è stato Le otto montagne – i balconi fioriti in città – a rapirmi totalmente. Ho voluto preservarmi la lettura di quello che è stato il germe da cui è fiorito il romanzo vincitore dello Strega, per i pochi giorni che trascorrerò sulle Dolomiti.
È possibile innamorarsi di una prefazione? La risposta è sì, se si parla di libri-stelle che, anno dopo anno, eteronimo dopo eteronimo, formano costellazioni.
Penultima tappa. Se anche voi quando siete demotivati mormorate Nolite te bastardes carborundorum o rabbrividite pensando a frasi come Under his eye, ecco che, proprio come me, siete caduti nel tunnel del Racconto dell’ancella. Per chi ancora non è stato contagiato, affrettatevi a vedere la serie targata Hulu con una strepitosa Elisabeth Moss. Offred vive nella società di Giled, un tempo nota come Stati Uniti d’America: una sorta di teocrazia governata da un regime misogino ed estremista che ha imposto il ritorno ai valori tradizionali della Bibbia. Non aggiungerò altro. Anzi, vi dirò solo che appena finita la prima stagione sono corsa in libreria. Perché la serie, grazie al cielo, è basata sul romanzo omonimo di Margaret Atwood datato 1985 (Ponte alle Grazie, traduzione di C. Pennati, pp. 400, 16,80 euro). Da divorare adesso, ingannando l’attesa della seconda stagione.
Il trucco per addolcire il rientro – per rendere anche solo un po’ meno traumatico il ritorno alla quotidianità – è quello di non tornare affatto. Almeno con le storie. Per questo mi conserverò l’Atlante leggendario delle strade d’Islanda (Iperborea, traduzione di Silvia Cosimini, pp. 280, 16 euro) per la fine dei miei viaggi. Perché, tra i sentieri della terra del ghiaccio – in compagnia di troll, elfi, spettri e mostri marini –, qualsiasi autunno incerto potrà essere affrontato con le armi migliori.
In collaborazione con GoodBook.it